Palazzo Chigi Saracini
ore 21
Ci sono canti che hanno riecheggiato nelle pianure sotto le cime dell’Ararat, hanno danzato al ritmo dei colpi battuti sul rame nei vicoli affollati dei mercati di Anatolia ed Egitto. Si sono persi fra le calli di Venezia, fino a spegnersi nel silenzio delle sue biblioteche. Sono approdati nei rumorosi caffè dei sobborghi delle capitali europee, nei bianchi quartieri accalcati sui porti mediterranei. Nell’ultimo secolo la memoria di quei canti antichi ha nutrito la canzone d’autore francese, le sonorità del cinema e del teatro, la ricerca musicale in bilico fra estasi, elegia e sperimentazione.
Sono le melodie armene, che da sempre hanno viaggiato verso Occidente inseguite dalle minacce dell’oblio. Come ai tempi del monaco Komitas (1869-1935), padre della musica armena moderna, che nacque nella sacra Echmiadzin, visse a Istanbul e morì a Parigi: insieme alle canzoni popolari da lui raccolte nei villaggi della sua regione, i suoi inni sacri sono i primi canti di cui si può ancora tracciare il ricordo.
I viaggi di quelle musiche hanno lasciato sulla terra e fra le genti segni che potrebbero aiutarci a disegnare una serie di carte d’Armenia, da fare e rifare rincorrendo somiglianze, rime, echi.
Le tragedie del Novecento ci hanno insegnato che l’identità di un popolo sopravvive anche grazie alla memoria dei suoi canti, che riescono a custodire i sentimenti provati nella semplicità della vita quotidiana, fermi di fronte a un panorama, nel raccoglimento della preghiera, nel gioire delle feste a passo di danza.
Racconti e canti sono i bagagli più leggeri da portare sulle strade della diaspora, e sono anche i semi che permetteranno ad un popolo di riaffondare le radici nelle terre che accoglieranno i suoi figli: nuove case, dove i canti risuoneranno a voce piena, con altri accenti, inflessioni, emozioni.
La musica di Alexis Avakian fiorisce da quei semi della memoria piantati in Francia, e germogliati in un ambiente dove il jazz fa da terreno ospitale per chiunque abbia l’urgenza di esprimere la sua propria voce. Con la toccante nostalgia dei mugham il fraseggio ricama linee melodiche sul tessuto armonico, dove la tradizione occidentale si intreccia al linguaggio dell’improvvisazione afroamericana. La musica di Avakian diventa così a sua volta un luogo accogliente di incontro, dialogo e scambio con altri musicisti. Non solo con il duduk di Artyom Minasyan, voce inconfondibile della memoria musicale armena. Ma anche con la creatività di Rusan Filiztek, nomade musicale capace di trasportare il suono del saz in universi anche lontanissimi fra loro, ma tutti legati a doppio filo con le tradizioni. In questa fitta conversazione, il solido e raffinato contrabbasso di Mauro Gargano, italiano di Francia dal sapere musicale cosmopolita, diventa l’arbitro di ogni traduzione fra un mondo sonoro e l’altro, offrendo agli ascoltatori un filo cui aggrapparsi per poi perdersi felicemente nel labirinto di una musica che ci riguarda tutti.
Stefano Jacoviello
ASCOLTO LIBERO
Alexis Avakian Quintet, Yerevanadzor, Live at Studio de l’Ermitage
Alexis Avakian, con Artyom Minasyan, Ludovic Allainmat, Boulevard des grands pins, TSF live
Alexis Avakian Quintet, Hi Dream, Cd trailer
Artyom Minasyan, Messa in San Giovanni Apostolo dei Caldei a Arnouville, TV – France 2
Mauro Gargano Mo’ Avast Band, Ostuni, da “Born in the Sky”
Rusant Filiztek con François Aria, Supernovae
Rusan Filiztek con Solon Lekkas, Se kenourgia varka bika
Rusan Filiztek con Emine Bostanci, Mamos
INGRESSO GRATUITO