2024
La mostra è a cura di Stefano Jacoviello.
Tracce come impronte lasciate su una superficie, indizi di qualcosa da scoprire. Tracce che testimoniano la presenza nascosta di qualcosa che corre il pericolo di scomparire. Resti inerti da ricomporre, ritrovando ciò che tuttavia potrebbe non corrispondere all’essere cui quei frammenti originariamente appartenevano, finendo per restituire l’identità di una creatura nuova, probabilmente mai esistita, che non avremmo potuto conoscere altrimenti.
Per comprenderle nel loro insieme, le tracce richiedono sempre un’abduzione: operazione logica che non funziona senza l’intervento della fantasia. La supposizione del vero lascia così il posto al verosimile, che trova i suoi appigli nell’immaginario. In questo modo, a partire da tracce sparpagliate siamo liberi di costruire un mondo che non ha bisogno di altre prove, se non di ciò che si presenta a quello sguardo capace di riconoscere cose fra le cose: piante, insetti, animali, la cui realtà è legittima dentro un mondo altro che si offre ai nostri sensi in forma di infiniti frammenti da riorganizzare.
Andrea Carlo Pedrazzini ha cominciato molti anni fa a costruire un inventario di forme di vita “mostruose”, ovvero, che prendono senso quando le loro linee tracciate sul foglio cadono sotto lo sguardo che riconosce loro un’esistenza e un obiettivo: ridisegnare un mondo fatto dell’intreccio di storie che ciascuna di queste creature racconta, a cominciare dalla loro forma e composizione. Nel suo De Bestiarum Naturis, composto di 999 opere grafiche, come dice l’artista, “ogni bestia, ogni titolo è una porta che si apre su una nuova stanza… cioè su una storia o su un’idea di natura, di dialogo, di vita”. Il Bestiario è un progetto di conoscenza il cui modello affonda nel passato remoto della cultura occidentale e non è guidato dal desiderio di esaustività che caratterizza le imprese dei più moderni dizionari ed enciclopedie. Il Bestiario non è un’opera conclusa in sé, ma è la cornice al cui interno ogni creatura trova la sua collocazione, lasciando sempre posto ad un possibile altro.
2023
TIINA OSARA – NOTATION
Se la scrittura fosse illeggibile?
Immaginiamo che l’artista liberi le lettere dal loro potenziale semantico legato alla loro funzione nell’alfabeto e lavori unicamente sulla loro forma, conservando solo il gesto della scrittura, svincolandosi dal significato delle parole per assaporarne appieno il ritmo e la sonorità.Una scrittura libera, leggera e flessuosa, che attraversa la carta o la tela come un’esplosione di luce e invita lo spettatore a confrontarsi con le linee di uno scrivere puramente gestuale, chiedendogli di misurarsi con l’esperienza sensibile dell’artista. L’obiettivo dell’artista non è raccontare una storia concreta. Piuttosto, come un compositore, mira a creare una sinfonia da offrire alla sensibilità soggettiva dell’ascoltatore.
I dipinti sono fatti di segni e la relazione tra segni e spazio vuoto può prendere forma diventando il loro soggetto. Per esempio, per tradurre il caos naturale sulla tela in modo personale è necessario manipolare, sperimentare, rimuovere, reinventare, catturare le linee interne delle cose e fissare le relazioni che esse comportano tra loro: da ciò l’importanza della linea. Queste linee di forza possono esistere solo attraverso il contrasto con il vuoto della tela.
L’automatismo in pittura può essere inteso come un movimento rapido o lento del pennello che, allo stesso tempo, esprime l’anima intima del pittore e rivela non le cose che osserviamo, ma il loro spirito: rapidità del gesto, che unisce in un unico segno l’espressione del sentimento dell’artista e la verità dell’oggetto osservato.
Ho cominciato a lavorare sulla scrittura asemica nel 2010, simultaneamente alle performance di action painting durante i concerti. Poiché non riesco a leggere le note, per memorizzare il brano su cui dipingo ho sviluppato una scrittura che mi permette di seguire il flusso musicale, definendo l’intensità, il ritmo, l’emozione con altri segni o parole.
La scrittura asemica fonde testo e immagine, lasciando l’interpretazione al pubblico.
Tiina Osara
(Tr. It. S. Jacoviello)
La mostra è a cura di Stefano Jacoviello.
2022
GIANFRANCO VINAY. DAI SUONI AI SILENZI
Ogni musica nasce dal silenzio, tende ad esso, e lo sottende. Gianfranco Vinay (Torino, 1945), uno dei musicologi più noti della sua generazione, ha indagato la consistenza del silenzio nella musica del Novecento. Da artista, le ha donato sostanza con una serie di opere intitolata “Musiche silenziose”, prodotte espressamente per il Chigiana International Festival 2022. Questi 12 nuovi quadri saranno esposti negli spazi del ChigianArtCafé insieme ad altre réflexions, calques, disegni e un tableau-miroir realizzati negli ultimi decenni. Attraverso la pratica del montaggio, ciascuna opera mescola diverse tecniche e modalità di produzione dell’immagine, dalla fotografia all’incisione, dal pastello ai papier collés, ed esplora la dimensione della profondità, sulla cui direttrice Vinay accompagna lo sguardo dello spettatore fino ad attingere all’abisso del silenzio da cui emergono il suono e la memoria. Ogni creazione di Vinay dialoga con le forme del discorso musicale dei diversi compositori a cui i quadri sono ispirati: da Mozart a Sciarrino, Ravel, Nono, Debussy, Berio, Stravinskij, Cage, Feldman e tanti altri.
La mostra è a cura di Stefano Jacoviello, realizzata da Vernice Progetti Culturali, in collaborazione con Opera Laboratori. Catalogo edito da Sillabe, Livorno.
2019
M’HORO’ SUITE – Sculture per … orchestra
Negli spazi del ChigianArtCafè dal 6 luglio al 31 agosto 2019 si è tenuta M’HORÓ SUITE Sculture… per orchestra, la sorprendente mostra di M’horó – artista “enig-matico” e misteriosamente ancora senza volto, curata da Antonio Falbo, Salvatore Falbo, Roberto Messina, con Diego Giudici e la Minotauro Fine Art Gallery di Palazzolo sull’Oglio (www.galleriaminotauro.com).
La grande originalità, unita ad una rara forza poetica, incontra qui il tema del Chigiana International Festival 2019: “Out of Nature” con una produzione/collezione di opere dedicate agli strumenti musicali: vere “eco-sculture”, fini e leggerissime cesellature in alluminio ricavate da scarti industriali (soprattutto radiatori d’auto e serpentine radiali).
Ad appena tre anni di distanza dalla sua entrata in scena nel panorama dell’arte, critica, gallerie, istituzioni stanno riservando grande attenzione a questo scultore singolare, inimitabile ideatore di nuove forme su una sua materia-tipo. Tra gli estimatori, Vittorio Sgarbi, che scrive: “con M’horó c’è solo da vedere cosa c’è davanti, punto e basta: un atto di grande franchezza intellettuale che rinuncia alla facile protezione dell’art pour l’artiste (…). Quando le opere sono così coerenti che tu le riconosci senza sapere di chi sono, esse sono nate dalla mente di Dio, che è quella che l’artista riproduce, e quindi loro parlano di lui e non lui di loro. E’ il caso di questo artista che ha scelto di non farsi riconoscere e usare lo pseudonimo di M’horó”. Premiato con esaltanti aggiudicazioni nelle aste nazionali e puntualmente segnalato nei motori di ricerca internazionali, M’horó stupisce con il virtuosismo di un gesto tecnico “liutario” che anziché confrontarsi con la lavorazione del legno, insiste abilmente sulla filigrana di metalli, associando il genio scultoreo all’eleganza formale degli archi.
Sempre alla ricerca di un primitivismo originario, M’horó si (e ci) imbatte in materiali di rottamazione che “manipola” ricorrendo alla piegatura, torsione, perforazione, incisione delle strutture radiali e delle la-mine di alluminio. Non usa fiamma ossidrica, ma imprime le forme attraverso un modellato spontaneo, operato con le mani e con semplici attrezzi meccanici. C’è, in questo, una dimensione ecologista di tutta evidenza: l’artista recupera, riscatta il rifiuto industriale dalla sua inevitabile ossidazione, rendendolo linfatico, vitale, e ri-consegnandolo ad una seconda e terza vita.
Saranno dunque i suoi stranianti violini, viole, violoncelli e contrabbassi metallici a sfilare tra le storiche mura della Chigiana, inseriti tra i pregiati artefatti di liuteria e i cimeli musicali in essa custoditi. E sarà come se suonassero davvero armoniose cadenze, gli strumenti del trio d’archi (violino, viola e violoncello) che M’horó ha installato all’ingresso del palazzo per accogliere i visitatori e animare di strane consonanze le stanze del ChigianArtCafé, nuovo spazio vocato all’incontro con diverse esperienze artistiche del contemporaneo, visitabile durante l’intera giornata.
Nel corso del Festival, M’horó ha fatto dono delle sue sculture\miniature ispirate al violino e appositamente realizzate per l’edizione “Out of nature”, ai grandi maestri chigiani di strumento ad arco.
2015
RICORDANZE. IL CONTE GUIDO CHIGI SARACINI E LE ARTI
Nel 2015, in occasione del 50° anniversario della morte del Conte Guido Chigi Saracini, l’Accademia lo ha ricordato con una mostra intitolata Ricordanze. Guido Chigi Saracini e le arti, allestita nei locali sottostanti il Salone dei Concerti e attualmente ancora in parte presente lungo il percorso del ChigianArtCafè.
Divisa in sette sezioni, la mostra si apriva con un Preludio che accoglieva il visitatore presentando il Conte attraverso le sue grandi passioni, i riconoscimenti che continuamente gli venivano tributati e i forti legami con la sua città per mezzo di una serie di video e preziose testimonianze. In questa sede era esposta una elegante montura da Paggio Maggiore della sua Contrada, l’Istrice, della quale fu per lunghi anni Priore.
Nelle stanze successive si poteva comprendere il suo rapporto con l’arte, iniziato da giovanissimo con l’attitudine verso la fotografia, e il rapporto con gli artisti del suo tempo come Arturo Viligiardi al quali commissionò opere monumentali come la ristrutturazione del Palazzo di Via di Città dove fu realizzato anche il Salone dei Concerti in stile settecentesco veneziano di cui si espone il bozzetto in stucco dipinto.
L’altro grande personaggio del quale fu mecenate fu Vico Consorti autore della porta bronzea laterale del Duomo di Siena e del Pantheon di musicisti per il giardino della sua Villa a Castelnuovo Berardenga di cui si espone l’interessante bozzetto dedicato a Chopin. Il Conte amava circondarsi di opere e fotografie che raffiguravano maestri di orchestra, violinisti, pianisti e musicisti di ogni tempo, a partire dal dono fattogli da Edoardo Mascheroni del busto di Giuseppe Verdi eseguito da Vincenzo Gemito che domina la stanza Micat in vertice.
Nella Galleria del Novecento sono tutt’ora esposti una trentina di dipinti, la maggior parte inediti, eseguiti nella prima metà del XX secolo, che probabilmente abbellivano le case delle sue dimore prima di essere riposti nelle soffitte dove sono stati conservati negli ultimi cinquant’anni e che oggi abbiamo riproposto al pubblico. Si conclude la mostra nella stanza del Roi de Sienne, un appellativo tributatogli da Elisabetta di Wittelsbach, regina del Belgio, con la quale il Conte ebbe un intimo rapporto di amicizia durato fino agli ultimi anni della sua vita. Qui, per mano di artisti del suo tempo come quella Amelia Ambron Almagià, intima amica di Giacomo Balla, che lo ritrasse per ben tre volte, sono esposti dipinti e sculture a lui dedicati.
Mostra ideata e realizzata da:
a cura di
Laura Bonelli
Progetto Grafico e Immagine coordinata catalogo
Laura Tassi
Allestimento
Laura Manzi
Gabriele Bartalucci – Banca MPS
Chiara Benedetti – Fondazione MPS