FOCUS LUIGI NONO
From Silence 2022
Luigi Nono è scomparso da oltre trent’anni, l’8 Maggio del 1990 a Venezia, la città dove era nato nel 1924, ma l’attualità della sua presenza ne fa una delle voci dell’oggi. Affrontò lo studio della musica sotto la guida di Gian Francesco Malipiero, di Bruno Maderna e di Hermann Scherchen. Negli anni del dopoguerra, quando la società e la cultura italiana erano segnate da una profonda ansia di rinnovamento, Nono seppe mantenere i legami con la tradizione in un processo di radicale rivolgimento del linguaggio musicale, ma attento a denunciare ogni irrigidimento accademico anche entro i movimenti di avanguardia. Nono ha scritto: “la musica resterà sempre una presenza storica, una testimonianza degli uomini che affrontano coscientemente il processo storico e che in ogni istante di tale processo decidono in piena chiarezza della loro intuizione e della loro coscienza logica ed agiscono per schiudere nuove possibilità all’esigenza vitale di nuove strutture”. Questo si esplicita pienamente ne Il canto sospeso (1955-56), nell’opera Intolleranza 1960 (1961), nelle composizioni degli anni sessanta, segnate dalla costante operatività con i mezzi elettronici dello Studio di Fonologia della RAI di Milano. Sono di quegli anni Omaggio a Vedova (1960) e le opere del grande impegno civile e politico: La fabbrica illuminata (1964), Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz (1966), A floresta é jovem e cheja devida (1966), Contrappunto dialettico alla mente (1968), il dittico Un volto, del Mare-Non consumiamo Marx (1969), con le testimonianze della rivolta del ‘68 alla Biennale di Venezia e del Maggio francese, l’azione scenica Al gran sole carico d’amore (1970) e la composizione di vaste dimensioni per voce di soprano, pianoforte, orchestra e nastro magnetico Como una hola de fueza y luz (1971-72).
E neppure la svolta segnata dalla scrittura di Sofferte onde serene (1974-76) per pianoforte e nastro magnetico, che apre alla sua musica nuovi cammini, rappresenta per Nono un vero allontanamento dall’antagonismo del suono. Al contrario la sua musica si trasforma, interpretando la decomposizione sociale dell’uomo alla soglia della fine del millennio. Per i compositori delle giovani generazioni la figura di Luigi Nono rappresenta un riferimento importante. Anche chi non ha una conoscenza approfondita delle sue opere, o chi si muove in direzioni differenti da quelle del compositore veneziano, ha di Nono l’idea di una personalità che sarebbe troppo limitato definire con la parola di “compositore”. Questo tipo di rapporto non c’è con nessun altro autore di quella generazione. La musica per Nono è stata una chiave di lettura del mondo ed ha saputo superare ogni tentativo di definizione, ogni confine geografico e culturale, senza perdere mai la propria personalità, il proprio carisma, il proprio rigore. Dopo la rottura con la “Scuola di Darmstadt” -di cui era stato uno degli esponenti principali- Nono ha proseguito un percorso personale in cui confluivano la dimensione antagonistica del proprio discorso musicale, il rapporto con la storia e l’originalità della ricerca sonora. Dagli esordi presso lo Studio di Fonologia di Milano della Rai, alle ricerche sul live electronics condotte presso lo Studio Sperimentale della Fondazione Strobel a Friburgo, Nono ha portato avanti una propria metodologia di indagine che utilizzava le tecnologie più avanzate senza mai diventare tecnicistica.
Luigi Nono, Guai ai gelidi mostri, testi a cura di Massimo Cacciari © Casa Ricordi, 1983
Luigi Nono, Con Luigi Dallapiccola, per 6 percussionisti e live electronics © Casa Ricordi 1979
L’ansia della ricerca sul suono non è mai stata avulsa dalle questioni del sociale, del progresso, della liberazione dell’uomo dalle catene dello sfruttamento e dai percorsi preconfezionati del consumismo, sia nelle composizioni degli anni Sessanta, che nelle ultime opere tra cui Prometeo, il ciclo Caminantes [1°) Caminantes… Ayacucho (1986-’87), su testo di Giordano Bruno (De la causa, Principio et Uno); 2°) No hay caminos. Hay que caminar…Andrej Tarkovskij (1987); La lontananza nostalgica utopica futura. Madrigale per più “caminantes” con Gidon Kremer (1988-89); “Hay que caminar” soñando (1989)] e le composizioni che come segnali luminosi nella nebbia ha scritto nella navigazione verso quei due capolavori del tardo Novecento. Si ascolti A Pierre. Dell’azzurro silenzio, inquietum, del 1985, dedicato a Pierre Boulez per i suoi sessant’anni, in cui le tecniche di emissione strumentali sono difficilmente distinguibili dalle elaborazioni elettroacustiche in tempo reale. Suoni dal vivo e suoni elaborati si fondono in un unico insieme fluttuante, materia composta per uno spazio sospeso tra suono e silenzio, presenza e assenza, realtà e possibilità. O ancora il frammento tratto da Das Atmende Klarsein (1981-87) e il Post-prae-ludium per Donau (1987), in cui gli strumenti (flauto basso e tuba rispettivamente) diventano anche generatori di uno spazio che è al tempo stesso luogo degli accadimenti sonori e ambiente dove si definiscono liberamente le traiettorie del suono ogni volta diverse, secondo le infinite possibilità implicitamente “causate” dagli elementi in gioco.
Il rapporto con gli interpreti, con Liliana Poli, William O. Smith, Maurizio Pollini, Claudio Abbado, Alvise Vidolin, Roberto Fabbriciani, Giancarlo Schiaffini, Ciro Scarponi, Stefano Scodanibbio, Susanne Otto, Hans Peter Haller, André Richard e altri ancora, è alla radice di tanti lavori di Nono. È di per sé già una parte integrante del processo di composizione ed è uno dei modi in cui entra in quel processo il rapporto con la realtà. Il golpe di Pinochet in Cile del 1973, gli avvenimenti di Santiago, la caduta e la morte di Allende, lo sterminio degli oppositori, le torture inflitte loro nel tragico stadio-lager, ebbero un enorme effetto su tutta la popolazione democratica italiana dell’epoca. Nono in quegli anni stava lavorando intorno all’idea di una nuova opera di teatro musicale. Il golpe cileno fu uno degli elementi decisivi per la sua realizzazione. Al gran sole carico d’amore – il titolo deriva da un verso della poesia Le mani di Jeanne Marie di Rimbaud – si incentra su due diverse figure femminili, emblema del ruolo della donna nel processo rivoluzionario e di liberazione di massa: nella prima parte la comunarda Louise Michel, nella seconda l’eroica “madre” della rivoluzione russa del 1905 descritta da Gor’kij.
Luigi Nono, Sarà dolce tacere, canto per 8 soli de “La terra e la morte” di Cesare Pavese © Ars Viva Verlag, Mainz, 1960
A loro volta le figure femminili si moltiplicano, diventando Tanja Bunke, morta in Bolivia nella guerriglia con Che Guevara, le cubane Haydée Santa Maria e Cecilia Sanchez dell’assalto alla caserma Moncada, la Deola dei bassifondi torinesi di Cesare Pavese, le donne vietnamite, in un continuo gioco di sovrapposizioni e rimandi. I testi sono un montaggio realizzato da Nono di frammenti tratti da Brecht, Rimbaud, Che Guevara, Marx, Louise Michel, Tanja Bunke, Celia Sanches, Haydee Santamaria, Gramsci, Fidel Castro, Lenin, Pavese, Gor’kij, canti popolari e testi dicronaca. A proposito di questa visione del teatro musicale, a proposito della prima opera di Nono, Intolleranza 1960, Luigi Pestalozza ha scritto: “Nono si collega subito, per il suo teatro sartrianamente “di situazioni”, fatto di scene di alienazione e di oppressione, al mondo, ai suoi conflitti anche italiani. Così nel mondo c’è in quel momento l’Algeria e in Intolleranza 1960 la “sale guerre” di Algeria c’e’; e nel mondo ci sono milioni di emigrati italiani, mano d’opera a basso costo esportata forzatamente a costo di farli morire a centinaia nei pozzi di una miniera belga, e il protagonista di Intolleranza 1960 che prende coscienza passando da una all’altra situazione di oppressione, di alienazione, è un minatore; e in Italia c’è stata dieci anni prima la tragedia della piena del Po, e l’emigrante minatore che infine ha preso coscienza antagonista, viene travolto da quella piena figlia del malgoverno neocapitalista prima che dalla natura. E l’opera finisce dunque con questa morte tragicamente esemplare in mezzo a un coro di liberazione, magnifico, travolgente, convincente come un grande coro liberatorio di Verdi ma scritto nella lingua musicale di oggi, quella che rompe l’ordine alienante e oppressivo, come fu subito chiaro a tutti, agli ostili per primi, la sera veneziana del 13 aprile 1961, così era infatti suonata per tutta l’opera questa musica inequivoca, percorsa nelle voci e nell’orchestra da un inedito lirismo, emozionante e lucidamente critico”.
Ascoltando Intolleranza 1960 e Al gran sole carico d’amore si comprende come queste opere siano l’espressione più alta di un percorso che pone la voce e la coralità al centro del processo compositivo e di de-strutturazione sonora del linguaggio. Un cammino iniziato con lo studio di Dallapiccola, dei suoi Canti di prigionia, culminato in quella fase con Il canto sospeso (1955-56) e proseguito attraverso numerosi, straordinari episodi (La terra e la compagna, Cori di Didone, Sarà dolce tacere, La fabbrica illuminata, A floresta, Donde estás, hermano? del 1982 per cinque voci, dedicato ai “desaparecidos” in Argentina), fino al Prometeo, che ne costituisce la lenta, inesorabile dissoluzione, agli echi del passato che ritornano fino alle lontane, estreme risonanze erranti di Caminantes…Ayacucho. Ma il rapporto con Verdi, avanzato da Pestalozza, non si esaurisce nel teatro musi- cale. Ritorna – ad esempio – nel quartetto Fragmente-Stille, an Diotima (1979- 80), dove Nono ha utilizzato come materiale di base la struttura armonica della scala enigmatica dell’Ave Maria per coro a 4 voci di Verdi, materiale che tornerà ad utilizzare nel Prometeo. La concezione drammaturgica del suono introdotta da Nono ha aperto percorsi nuovi, quei “cammini” che sembrano andare verso il nulla, ma che solo percorrendoli si scoprono pieni di idee feconde e di possibilità molteplici. Prometeo è stata la prima, vera, grande opera intermediale del nostro tempo, di cui tanti possibili significati sono ancora da comprendere e la cui realizzazione rimane un enigma, nonostante i tentativi di messa in scena fino ad oggi realizzati. Un’opera – unica nella storia del teatro musicale – che ha il potere di essere una metafora di se stessa, e la cui messa in scena risiede più in ciò che non si vede che in una rappresentazione sensibile. Un’opera-sintesi di un’intera esistenza, dove gli echi del Canto Sospeso si uniscono agli abissi della lontananza, della distanza dal mondo e dal tempo degli ultimi anni. Di quella esistenza ci restano oggi opere, incisioni discografiche, scritti, documenti di immenso valore. Lo straordinario lavoro di studio e divulgazione che sta portando avanti l’Archivio Luigi Nono di Venezia, nato nel 1993 grazie all’iniziativa di Nuria Schönberg Nono, ha anche il senso di affermare che nel nostro tempo la musica può ancora far riflettere sulla condizione umana e può servire a combattere ogni forma di asservimento all’omologazione mercantile della cultura e dell’arte.
LUGLIO
nel programma del Chigiana International Festival & Summer Academy 2022 [FROM SILENCE]